Accarezzando l’ambiente
L’ostilità che stiamo dimostrando verso noi stessi è deplorevole! Noi stessi? Certo, chi altrimenti?
Non è un arcano scoprire che, ad esempio, dare uno schiaffo ci predispone già, consapevolmente, a riceverlo.
Facciamo violenza per una sorta di nichilismo latente che ci permetta così, assurdamente, di sentirci vivi. L’azione gratuita del cattivo gesto è strada degenerante, lo sappiamo? Ma certo!
I frutti per essere assaporati hanno bisogno di lavoro, tempo e amore.
La tecnica, come velocità di risposte, fuorvia da una strada di natura, naturalmente e per la natura.
1) Il lavoro: Nel “Lavorare stanca” di Cesare Pavese, i destini dei contadini delle langhe piemontesi, ad esempio.
2) Il tempo: Ad ogni primavera rifiorisce il mandorlo.
3) L’amore: Gesto concreto di compassione.
Se ti accarezzo, mi accarezzerai.
Come possiamo aspettarci consensi da chi maltrattiamo? La natura ci è ostile nella misura in cui noi la denigriamo, l’umiliamo.
E’ dalla natura che tutto ha origine. Nelle gite fuoriporta cerchiamo spesso il rigenerante, lo troviamo quindi ad un ruscello, al mare, in montagna, al lago, nel bosco, in campagna, nei prati, in definitiva nell’ambiente. La natura diventa solo leopardianamente “indifferente”? Essa è inaspettatamente terapeutica per le nostre esistenze.
“La natura è a priori” scriveva Schelling nel “Primo abbozzo di un sistema di filosofia della natura” (1799).
Essendo spazio e tempo, per noi, forme dei sensi aprioristicamente conosciute, siamo quelle parti integranti del tutto (parafrasando Schelling), che è la Natura. Ecco spiegato il nostro quesito in incipit “Noi stessi”! Essendone parte integranti noi siamo la natura stessa.
Nella pratica della nostra esistenza ci chiediamo se sia giusto dover soffrire, sia giusto che la sofferenza dimori nel mondo. Ebbene è senz’altro “naturale”. “La vita è solo sofferenza” diceva Nietzsche in “Così parlò Zarathustra”, La natura “matrigna”, Leopardi docet, ci pone di fronte alle nostre responsabilità di esseri umani. Siamo in grado di farcene carico? Non importa, la natura non attende una risposta in merito, semplicemente agisce, “respirando” attimo dopo attimo.
Nel tentativo di riappropriarci della “naturale” inclinazione umana, rievochiamo qui un Rousseau non prettamente in linea con le idee illuministe della sua epoca, ma addirittura di scontro laddove teorizzando il mito del “buon selvaggio” e l’avversione nel progresso delle scienze e delle arti che corrompono l’uomo, ci rivela la semplicità dell’esistente al di là della società complessa e della tecnica odierna, “Con la tecnica gli uomini possono ottenere da sé quello che un tempo chiedevano agli dèi” (U. Galimberti, La casa di psiche, Feltrinelli, Milano, 2008, pag. 160), fautrice di stress e tensioni in quanto ci rende inadeguati ai suoi ritmi ed in continua ricerca di una perfezione irreale ed illusoria.
Quali le strade per una non-sofferenza tout-court? Quali le decisioni atte e volte ad una più consapevole esistenza? Le strade indicateci per una più consapevole amministrazione del nostro tempo su questa terra sono molteplici e di differenti discipline umanistico-esistenziali. Il sistema consumistico (che ci consuma) aumenta a dismisura le nostre incessanti deficienze di carezze, chi altrimenti potrà donarcele? Non certamente gli oggetti (inanimati), Lao Tzu, il probabile inventore del Taoismo cinese, ci ricorda in merito che “da ogni minuscolo germoglio nasce un albero con molte fronde”. Lascio alla Vostra sensibilità le riflessioni, ricordando che ad esempio, le filosofie orientali, sicuramente molto legate alla natura ed ai suoi segnali, ci rimandano ad un’appartenenza più incisiva ed empatica a quello che il mondo “energeticamente” ci trasmette, ma che razionalmente e costantemente, noi, disattendiamo.