San Francesco, tessuto di memorie di un popolo
La chiesa di San Francesco d’Assisi, dopo la cattedrale, è il monumento sacro più insigne di Lucera. Il suo stile architettonico, gotico e angioino, è un linguaggio internazionale che ancora oggi accomuna Napoli, la Capitale, la Francia e le province del Regno, ma che nella nostra Puglia si modula con esiti peculiari, incontrandosi con apporti romanici, bizantini e adriatici.
I fedeli, i turisti e gli amanti dell’arte la visitano volentieri per ammirarvi l’elegante ed
essenziale struttura, la severa ed armoniosa semplicità francescana dei suoi lineamenti, le pregevoli opere d’arte. Ma più che dalle testimonianze dell’arte, essi sono “catturati” dalla figura di San Francesco Antonio Fasani, la cui sobria “presenza” è attestata con eloquente linguaggio in ogni pietra del sacro edificio.
La chiesa è da sempre un punto di riferimento della religiosità del popolo lucerino ed è oggi anche Santuario diocesano, dedicato proprio al Fasani, guardiano del convento e ministro provinciale, che nella chiesa visse e operò. Tutto in questa chiesa-santuario parla infatti di Lui e della sua meravigliosa attività di sacerdote e di apostolo. Da qui il Padre Maestro continua ad additare alle genti un ideale di vita, di scienza e di pace.
La “carta di identità” della trecentesca chiesa lucerna è stilata in latino nell’epigrafe muraria più vicina all’alto arco gotico del presbiterio: “meravigliosa e splendida”; due aggettivi che catturarono l’attenzione di illustri cultori d’arte, incantati dall’“armonica semplicità” e dal “chiaro organismo architettonico” del tempio.
Infatti è quasi impossibile entrare in questo Santuario senza sentirsi avvolti da un’atmosfera di gravità religiosa, senza essere sedotti da quella sensazione di pace e tranquillità suggerita dalla poca luce che penetra dalle sue vetrate cariche di misticismo. Una vera oasi di pace e di raccoglimento, dove il tempo sembra essersi fermato e in cui il silenzio è particolarmente sensibile alle rasserenanti suggestioni delle voci dell’anima. La forma ogivale, dappertutto presente, sta quasi ad indicare che l’esperienza del mondo non può non avere la punta verso l’alto, verso il cielo.
Tutto in questa chiesa parla del Fasani. In essa il Santo vi trascorse quasi tutta la sua vita, dagli anni della fanciullezza a quelli della operosa maturità. All’ombra di questo tempio temprò la sua fibra di eroe della fede e della povertà evangelica. Parla di lui il rozzo pulpito di pietra dal quale tuonò la sua voce di maestro quasi tutti i giorni per oltre trent’anni. Di lui recano testimonianza vivace di pietà e di intenso raccoglimento tutti gli altari della chiesa.
Parlano di lui i devoti simulacri dell’Immacolata, la sua cara “Madre e Regina”, del
Crocifisso, dell’Ecce homo e di San Francesco, pregevoli anche sotto il profilo dell’arte,
dinanzi ai quali era solito passare le sue ore più gradite, assorto nella dolcezza della
contemplazione silenziosa o nel rapimento dell’estasi.
Ma è soprattutto nell’abside luminosa, prostrato ai piedi dell’altare maggiore, davanti al tabernacolo eucaristico o rannicchiato in uno stallo del vecchio coro, che va cercata e sentita la presenza del nostro Santo. I suoi biografi ce lo ricordano spesso proprio lì, assorto in preghiera e in devoti pensieri, qualche volta astratto dalla realtà della vita ed elevato alle sublimi visioni del cielo. E sotto l’altare maggiore parla di Lui la sua tomba: “il tesoro della Chiesa”. Qui infatti ha ritrovato pace e riposo eterno, dopo tante fatiche, il suo venerato corpo, che giace ora disteso nel sonno dell’eternità.
Parla di lui anche l’antico convento francescano, ormai radicalmente trasformato, che
custodisce tante care memorie del Santo (da mnemé, “sempre verde”, ricordo “vivo” di ciò che è stato). Qui egli dimorò pregando, studiando e offrendo al Signore le più aspre penitenze.
Qui era la sua umile cella, posta in un breve corridoio nelle vicinanze del campanile, a fianco della scala maggiore che conduceva al dormitorio: umida, stretta e disadatta ad abitarci, tanto che dopo la sua morte fu adibita a granaio.
Parla di lui la Confraternita della S. Croce, SS. Trinità e B.V. Addolorata, ispirata dal suo messaggio di amore e di carità, quell’opera di misericordia che “s’ha da fare”.
Visitare il santuario diocesano di Lucera, riscoprire amorosamente le tante memorie che lo associano alla vita e alle opere del Padre Maestro, può risultare davvero un’esperienza di pace. Chi ha la fortuna di frequentarlo, o solo di visitarlo, non può non avvertire fra queste mura benedette la dolce e desiderata presenza del Padre Maestro.
Alle considerazioni sul Fasani “Padre” e “uomo della pace” già formulate dal presidente del club Unesco, dott. Franco Stanca (il Fasani fu uomo di pace perché volle e seppe parlare a tutti i ceti, ai poveri come ai ricchi), vorrei aggiungere altre brevi considerazioni sul Fasani “Maestro” e “filosofo” e sul Fasani “Frate della forca” (per la sua delicata missione della conforterìa ai condannati a morte nella Lucea del ‘700) in relazione alla recente moratoria generalizzata sulla pena di morte, votata lo scorso 18 dicembre 2007 dall’assemblea generale dell’Onu, di cui l’Unesco è organismo ed emanazione.
Mi soffermerò solo sul primo di questi due temi, rinviando il secondo ad un momento
successivo. La responsabilità della filosofia per il nostro futuro è ribadita autorevolmente nel documento del 2004, The Unesco Strategy on Philosophy, in cui questa importante organizzazione dell’Onu invita i governi a dare impulso all’insegnamento della filosofia.
L’analisi e la riflessione filosofica, infatti, sono considerate innegabilmente legate
all’edificazione e al mantenimento della pace tra i popoli, il cuore stesso della missione
dell’Unesco, e la filosofia viene definita “scuola di libertà” e quindi di pace, in quanto
sviluppa nelle persone gli strumenti intellettuali per analizzare e capire concetti chiave come la giustizia, la dignità e la libertà. Essa contribuisce alla maturazione del pensiero libero e del giudizio autonomo, che sono gli strumenti con cui l’uomo si interroga sul mondo e sui suoi cambiamenti. Insomma, l’insegnamento e la ricerca in campo filosofico (quello che fece il Fasani nel ‘700) costituiscono una risposta di ampio respiro alle questioni di cui si occupa l’Unesco, che in quanto organizzazione intellettuale ed etica, ha un ruolo di primo piano nel creare quello spazio pubblico in cui il dialogo possa acquistare un’autentica dimensione internazionale. Un dialogo che, nutrito dagli argomenti dei pensatori, possa vivificare le società civili ed essere ascoltato da chi deve prendere le decisioni. È in questo contesto, denso di suggestioni e di speranze, che possiamo immaginare la missione della filosofia come contributo decisivo alla formazione nei giovani di quel “pensare critico” (il critical thinking degli anglosassoni), che comprende un’ampia gamma di abilità, quali la capacità di riconoscere ed evitare i ragionamenti scorretti, i concetti confusi, le evidenze inadeguate, le fallacie logiche, per consolidare invece gli atteggiamenti ragionevoli in modo tale che le persone siano in grado di far discendere una conclusione dalle sue premesse, sappiano valutare gli argomenti portati a difesa di una tesi, sappiano porre correttamente le domande.
Vorrei terminare con tre proposte: quella di far coincidere la proclamazione di questo
monumento “Messaggero di pace” con la presentazione agli organi competenti della richiesta di dichiarare il nostro santuario “Basilica minore” e il nostro Padre Maestro “Dottore della Chiesa”. In ultimo, ma non per ultimo, rinnovo a tutti i presenti l’invito di Padre Giovanni Iasi, superiore di questo santuario, ad istituire quello che lui chiama un “tavolo di lavoro” attorno alla figura del nostro grande Santo. Forse il Fasani non è conosciuto altrove perché noi per primi, qui a Lucera, non lo conosciamo bene o lo ignoriamo.
Conoscere meglio il nostro Santo renderà noi per primi veri “testimoni” di una cultura di pace.